Un articolo comparso sul sito della rivista VITA riporta un approfondimento molto interessante. La recente sentenza n. 72/2022 della Corte Costituzionale presieduta da Giuliano Amato ha precisato che “ l’attività del Terzo Settore ‘alimenta’ – con la sua stessa attività, svolta senza fine di lucro – il finanziamento della spesa pubblica, non ricorrendo al classico modello del “prelievo tributario” ma convogliando risorse private verso attività di “interesse generale”: diversamente, dovrebbe essere lo Stato a raccogliere quelle stesse risorse mediante l’imposizione fiscale ed a redistribuirle, con margini di inefficienza ed inefficacia probabilmente maggiori».
Tradotto in soldoni: il Terzo Settore, in cui confluiscono un mare di Associazioni di Volontariato e un oceano di volontari, con la sua proattività è in grado di generare una ricchezza materiale per il Welfare Nazionale che potrebbe essere surrogata solo tramite ulteriori imposizioni sui redditi dei cittadini. Un argomento da cui, di questi tempi di mercati di ogni genere impazziti, è meglio “tenersi alla larga”.
Questo dono di ricchezza ha mille sfaccettature: si esprime ad esempio in disponibilità gratuita di beni strumentali quali mezzi speciali della Protezione Civile, ambulanze, furgoni per il trasporto disabili, apparecchiature elettromedicali, si esprime in strutture di accoglienza di fragilità legate alla terza età, all’infanzia, alla disabilità, alla integrazione degli emarginati e degli immigrati, si esprime in una mole impressionante di ore di lavoro non retribuite con le quali si tengono in piedi servizi assistenziali tra i più disparati. Solo per citare alcuni pochi esempi che rendono l’idea. Beni materiali ed immateriali conferiti gratuitamente al bene comune.
Tutto ciò ha un valore? Tutto ciò merita di essere preservato? Ad avviso di chi questo valore lo genera sì, ad avviso della maggior parte di chi ne usufruisce in prima persona sì.
E ad avviso degli amministratori pubblici, locali e non, che devono trovare forme di integrazione e di collaborazione tra Terzo Settore ed Ente Pubblico e che si devono spendere in prima persona per tutelare l’esistenza del no-profit nei loro territori?
Quello intrapreso dalla Corte Costituzionale non è un percorso legislativo di poco conto: è il riconoscimento e l’espressione della volontà tutelativa di un nuovo modello esteso di “sussidiarietà fiscale”, con al centro gli Enti del Terzo Settore. Nell’articolo si attribuisce al volontariato anche un “ruolo politico” che si esprime attraverso i canali dell’attivismo civico, della partecipazione e della collaborazione con l’amministrazione pubblica. Aggiungiamo che stiamo parlando del più alto valore che la parola “politica” possa esprimere.
Sempre nell’articolo viene espressa l’esigenza che il legislatore “preveda una serie di misure di sostegno, valorizzazione e promozione, senza le quali il volontariato non potrebbe prendere il largo (la Corte richiama le norme sui CSV e l’impegno della P.A. a diffondere la cultura del volontariato)”.
Molto di tutto ciò è stato indicato nel Decreto Legislativo num. 117 del 3 Luglio 2017 noto come Legge del Terzo Settore. Al netto di decreti attuativi ancora in divenire, gli strumenti a disposizione dei pubblici amministratori per incontrare le chiare indicazioni della Corte Costituzionale ad operare a favore degli Enti del Terzo Settore, ci sono. E sono ben definiti. Basta volerli usare.
O semplicemente basta avere la “volontà politica” di tutelare la territorialità delle Associazioni di Volontariato, la loro storia fatta di sussidiarietà a favore del bene comune, la loro straordinaria ed efficace risposta ai bisogni primari della comunità, creando le condizioni affinché possano continuare ad esistere. La legge da ampie facoltà agli amministratori per attuare tutto ciò.
Sennò la parola territorio, così tanto usata ed abusata, è solo una chiacchera lasciata al vento. I carri che funzionano hanno bisogno di chi dia una mano a tirarli e non solo di chi ci salga sopra e basta.